Il suono della forma e del colore
di Massimo Mussini, 2016
I dipinti di Marino Iotti, improntati alla tradizione dell’Informale italiana, sanno suscitare a uno sguardo attento una serie di suggestioni inarrestabili, diventano un incentivo a ritrovare dentro di sé ricordi, impressioni, emozioni a lungo dimenticate. Le superfici coperte da campi colorati, intersecate da segni graffiti, demarcate da inserti materici, richiamano frammenti di vecchi edifici, di panorami visti dall’alto, di oggetti logorati dal tempo e dall’uso.
L’informe, il coacervo di segni e colori apparentemente privi di significato, corrisponde a un self-service della nostra era, dove ciascuno può cercare e trovare quel che desidera, perché l’insieme cromatico e segnico – vero e proprio “grado zero” della scrittura pittorica – contiene in sé tutte le possibilità comunicative e consente di scegliere quanto occorre per sviluppare la capacità immaginativa o per appagare la personale domanda di armonia.
Il senso dell’armonia, infatti, dà alle composizioni di Iotti un ordine interno, in cui la tenuità dei colori e il disporsi dei segni conducono a un equilibrio comunicativo paragonabile a un suono sommesso, che ricorda i Notturni di Chopin e, come quelli, predispone l’animo a una tranquilla fruizione.
L’arte informale, nata nel Novecento come reazione alla tradizione ormai esausta dell’accademismo figurativo e come risposta alle sollecitazioni fornite dalle nuove conoscenze nel campo delle scienze psicologiche, ha ritrovato nei primi due decenni del nuovo millennio un’inattesa vitalità come risposta all’affermazione della fotografia digitale, che ha messo a disposizione di tutti strumenti automatici atti a riprodurre la realtà. Ne è scaturita una diffusione inarrestabile e sempre crescente d’immagini, che rappresentano tutto il rappresentabile, saturando le nostre possibilità di recezione dell’informazione. Esse, condivise fra decine o centinaia di utilizzatori, ci avvertono per un istante della loro presenza, immediatamente cancellate da una nuova figurazione.
Lo sguardo sensibile si è fatto, in tal modo, sguardo insensibile, ridando spazio a ciò che gli occhi non vedono, riaprendo la via ai racconti interiori.
In questa situazione l’immagine dipinta, che a differenza della fotografia nasce con tempi lunghi di gestazione, ha riacquistato la funzione che sembrava perduta e la pittura informale, soprattutto, è diventata strumento capace di ridare una durata al significato delle rappresentazioni, prendendo avvio dagli elementi primari della sollecitazione visiva come, appunto, vediamo fare da Marino Iotti.
di Massimo Mussini, 2016
I dipinti di Marino Iotti, improntati alla tradizione dell’Informale italiana, sanno suscitare a uno sguardo attento una serie di suggestioni inarrestabili, diventano un incentivo a ritrovare dentro di sé ricordi, impressioni, emozioni a lungo dimenticate. Le superfici coperte da campi colorati, intersecate da segni graffiti, demarcate da inserti materici, richiamano frammenti di vecchi edifici, di panorami visti dall’alto, di oggetti logorati dal tempo e dall’uso.
L’informe, il coacervo di segni e colori apparentemente privi di significato, corrisponde a un self-service della nostra era, dove ciascuno può cercare e trovare quel che desidera, perché l’insieme cromatico e segnico – vero e proprio “grado zero” della scrittura pittorica – contiene in sé tutte le possibilità comunicative e consente di scegliere quanto occorre per sviluppare la capacità immaginativa o per appagare la personale domanda di armonia.
Il senso dell’armonia, infatti, dà alle composizioni di Iotti un ordine interno, in cui la tenuità dei colori e il disporsi dei segni conducono a un equilibrio comunicativo paragonabile a un suono sommesso, che ricorda i Notturni di Chopin e, come quelli, predispone l’animo a una tranquilla fruizione.
L’arte informale, nata nel Novecento come reazione alla tradizione ormai esausta dell’accademismo figurativo e come risposta alle sollecitazioni fornite dalle nuove conoscenze nel campo delle scienze psicologiche, ha ritrovato nei primi due decenni del nuovo millennio un’inattesa vitalità come risposta all’affermazione della fotografia digitale, che ha messo a disposizione di tutti strumenti automatici atti a riprodurre la realtà. Ne è scaturita una diffusione inarrestabile e sempre crescente d’immagini, che rappresentano tutto il rappresentabile, saturando le nostre possibilità di recezione dell’informazione. Esse, condivise fra decine o centinaia di utilizzatori, ci avvertono per un istante della loro presenza, immediatamente cancellate da una nuova figurazione.
Lo sguardo sensibile si è fatto, in tal modo, sguardo insensibile, ridando spazio a ciò che gli occhi non vedono, riaprendo la via ai racconti interiori.
In questa situazione l’immagine dipinta, che a differenza della fotografia nasce con tempi lunghi di gestazione, ha riacquistato la funzione che sembrava perduta e la pittura informale, soprattutto, è diventata strumento capace di ridare una durata al significato delle rappresentazioni, prendendo avvio dagli elementi primari della sollecitazione visiva come, appunto, vediamo fare da Marino Iotti.