Testo critico
di Massimo Mussini, 1994
Dalle prime esperienze pittoriche sulla fine degli anni settanta, in cui il segno definiva ancora in modo appena riconoscibile gli oggetti (erano paesaggi irti di alberi lanceolati, sovrapposti in rigidi profili come di lamiera intagliata che richiamavano forme di Consagra e di Sutherland e sembravano anche memori del naturalismo astratto alla Moreni o alla Morlotti), il linguaggio di Marino Iotti ha progressivamente decantato le tracce naturalistiche, lasciando aggallare sulla tela soltanto i segni più sfumati, ormai di impossibile riconoscibilità. Con la forma anche il tessuto pittorico si è come disciolto in colori più liquidi che la tela talvolta assorbe in aloni iridescenti, ora lascia scorrere in sinuose scolature, oppure trattiene in densi spessori materici. I suoi “paesaggi” si sono così progressivamente trasformati in strutture puramente mentali, in labirinti di segni e colori che - apparentemente - sembrano guidati ormai soltanto da impulsi inconsci e non più dalla memoria visiva.
“Paesaggi” che nei dipinti più recenti, dei primi anni novanta, quando il giro di boa risulta ormai definitivamente compiuto e appare lasciata alle spalle anche una breve fase più direttamente informale, fanno affiorare un bruciante interesse per una pittura nella quale il fatto gestuale viene ad assumere un ruolo primario. Ce lo rivela l’importanza che ormai acquista nelle sue opere la visibile traccia del pennello sulla tela per disegnare curve falcate e per distribuire il colore, ora sovrapponendolo leggermente in velature successive, ora imponendolo in masse coprenti. Sono segni ampi e ben riconoscibili, dettati da un largo movimento della mano che hanno la funzione di stabilire un campo cromatico di fondo, vibrante alla luce, sul quale successivamente Iotti scrive con un tratto più filiforme di colore per sottolineare, riordinare, scompartire ritmicamente le forme. In questa ritmica che scorre sul filo sottile dell’equilibrio compositivo tanto cromatico che formale si può cogliere la distanza che le tele recenti di Iotti hanno progressivamente accumulato nei confronti del linguaggio informale. Non si tratta più, infatti, di tele cresciute di getto, di ”scritture automatiche” guidate solamente dall’inconscio, di costruzioni più meditate, più attente ai valori espressivi dei diversi strumenti linguistici utilizzati per arricchire il valore emotivo della composizione. Fra questi strumenti assume una decisiva importanza il colore che, come nell’espressionismo astratto, fraseggia col segno che contribuisce a delineare.
Queste ultime opere di Iotti, insomma, vengono ad assomigliare ad una composizione musicale classica, ad una sonata o ad una fuga, dove l’orchestra sostiene il ritmo e costruisce il fraseggio di fondo e lo strumento solista, più squillante ed acuto, ricama una propria melodia musicale senza mai dissonare dall’insieme dell’armonia.
È questo, infatti, il senso che tendono ad acquistare certe scolature di colore, certi tratteggi spesso tono su tono ma anche in cromie differenti, certi graffi sulla tinta fresca che lasciano emergere il fondo, certe campiture che si rincorrono sulla tela seguendo ritmi ed equilibri che intendono raccontare il personale rapporto emotivo istituito dall’artista col segno e col colore.
di Massimo Mussini, 1994
Dalle prime esperienze pittoriche sulla fine degli anni settanta, in cui il segno definiva ancora in modo appena riconoscibile gli oggetti (erano paesaggi irti di alberi lanceolati, sovrapposti in rigidi profili come di lamiera intagliata che richiamavano forme di Consagra e di Sutherland e sembravano anche memori del naturalismo astratto alla Moreni o alla Morlotti), il linguaggio di Marino Iotti ha progressivamente decantato le tracce naturalistiche, lasciando aggallare sulla tela soltanto i segni più sfumati, ormai di impossibile riconoscibilità. Con la forma anche il tessuto pittorico si è come disciolto in colori più liquidi che la tela talvolta assorbe in aloni iridescenti, ora lascia scorrere in sinuose scolature, oppure trattiene in densi spessori materici. I suoi “paesaggi” si sono così progressivamente trasformati in strutture puramente mentali, in labirinti di segni e colori che - apparentemente - sembrano guidati ormai soltanto da impulsi inconsci e non più dalla memoria visiva.
“Paesaggi” che nei dipinti più recenti, dei primi anni novanta, quando il giro di boa risulta ormai definitivamente compiuto e appare lasciata alle spalle anche una breve fase più direttamente informale, fanno affiorare un bruciante interesse per una pittura nella quale il fatto gestuale viene ad assumere un ruolo primario. Ce lo rivela l’importanza che ormai acquista nelle sue opere la visibile traccia del pennello sulla tela per disegnare curve falcate e per distribuire il colore, ora sovrapponendolo leggermente in velature successive, ora imponendolo in masse coprenti. Sono segni ampi e ben riconoscibili, dettati da un largo movimento della mano che hanno la funzione di stabilire un campo cromatico di fondo, vibrante alla luce, sul quale successivamente Iotti scrive con un tratto più filiforme di colore per sottolineare, riordinare, scompartire ritmicamente le forme. In questa ritmica che scorre sul filo sottile dell’equilibrio compositivo tanto cromatico che formale si può cogliere la distanza che le tele recenti di Iotti hanno progressivamente accumulato nei confronti del linguaggio informale. Non si tratta più, infatti, di tele cresciute di getto, di ”scritture automatiche” guidate solamente dall’inconscio, di costruzioni più meditate, più attente ai valori espressivi dei diversi strumenti linguistici utilizzati per arricchire il valore emotivo della composizione. Fra questi strumenti assume una decisiva importanza il colore che, come nell’espressionismo astratto, fraseggia col segno che contribuisce a delineare.
Queste ultime opere di Iotti, insomma, vengono ad assomigliare ad una composizione musicale classica, ad una sonata o ad una fuga, dove l’orchestra sostiene il ritmo e costruisce il fraseggio di fondo e lo strumento solista, più squillante ed acuto, ricama una propria melodia musicale senza mai dissonare dall’insieme dell’armonia.
È questo, infatti, il senso che tendono ad acquistare certe scolature di colore, certi tratteggi spesso tono su tono ma anche in cromie differenti, certi graffi sulla tinta fresca che lasciano emergere il fondo, certe campiture che si rincorrono sulla tela seguendo ritmi ed equilibri che intendono raccontare il personale rapporto emotivo istituito dall’artista col segno e col colore.