Testo critico
di Marinella Paderni, 2002
La nostra epoca passerà sicuramente alla storia per tanti eventi e conquiste ma anche per un fenomeno mai prima registrato, atipico rispetto all’evoluzione degli opposti e degli estremi in tutte le sfere della nostra società. Individualismi e dualismo culturale (nazionale e sovrannazionale), scissioni e commistioni, antagonismi e conflitti, collaborazioni e guerre sono gli antipodi di una stessa cultura occidentale in bilico tra onnipotenza e supremazia da una parte, rispetto per l’uomo, per la sua vita e per il suo ambiente dall’altra. Una “cultura” che dovrebbe inglobare e non globalizzare, accogliere in un ecosistema dinamico e non stereotipato tanto le idiosincrasie quanto le polarità, comprendere tutte le espressioni culturali della nostra complessa società per dare parola alle mille voci dell’uomo - spesso differenti tra loro ma partorite dallo stesso anelito vitale.
Alla ricerca di un ordine olistico del mondo e nell’attuale faticosa concertazione tra il bene e il male, il bello e l’orrido, il degno e il corrotto, l’ordine e il caos - egualmente insiti nell’animo umano - l’arte di oggi, e tutta la cultura postmoderna, esprime questo rapporto dualistico. Accanto alle più sofisticate innovazioni tecnologiche e scientifiche - che in un futuro ci permetteranno di clonarci, di viaggiare o persino di abitare nello spazio, di modificare il clima della Terra e di morire ultracentenari - assistiamo a continue oscillazioni tra un’arte “virtuale” e super-tecnologica, “fredda” e cerebrale che trova nella videoarte, nella multimedialità e nell’installazione concettuale la sua massima espressione, e un’arte “calda”, più intima che si riappropria delle pulsioni profonde dell’uomo, degli archetipi e della simbologia ancestrale, della materia viva e pulsante della natura e del mondo. Quarant’anni fa lo studioso canadese Marshall McLuhan teorizzava come l’uomo postmoderno avrebbe vissuto da nomade in un villaggio globale, “viaggiando” simultaneamente da una condizione all’altra, da un sistema all’altro di uno stesso universo. Alla luce di questa nuova configurazione, Marino Iotti ha scelto di dare forma ed espressione alla parte “calda” dell’arte. Amante della pittura e delle emozioni che suscita, egli ha preso la materia vibrante del colore, i riverberi dei pigmenti minerali, il guizzo creativo del pennello, il movimento sinuoso e avvolgente della pittura per dare voce ai moti interiori dell’animo umano.
La sua ricerca scava nei meandri dell’uomo contemporaneo, nella sua natura fatta di estremi e di opposti, di confronti e di conflitti, nelle sue due anime. Attraverso la forza del segno e del fascino del colore, la sua pittura racconta le inquietudini che ciascuno di noi vive nel profondo davanti al mistero della vita e di fronte agli avvenimenti drastici di questo nuovo millennio.
Una delle sue opere più belle e incisive di quest’ultimo anno, la grande tela Dopo Genova, riassume in un vortice di segni, graffiature, cancellazioni inflitte ad una materia cromatica solare, il terremoto emozionale provato di fronte ai fatti genovesi del G8. Sopra i bellissimi ocra, rossi e bianchi l’artista dipinge la sagoma nera di un uomo colpito al cuore da un vortice - una spirale disegnata sopra il petto - simbolo di un episodio che cambierà la storia di ciascuno e sintesi di quei valori che convivono simbioticamente nell’animo dell’uomo contemporaneo. Pace e guerra, vita e morte, rinascita e distruzione, benessere e povertà, solidarietà e isolamento sono inscritti nelle opere di Iotti sottoforma di graffitismo primordiale e inconscio che riempie lo spazio dell’opera di scritture antiche e illeggibili (poesie scritte e poi cancellate dalla materia pittorica), di figure ancestrali (l’uomo rappresentato da primitive forme geometriche), di segni laceranti che sembrano ferite insanabili nel cuore dell’artista e di ogni uomo.
Le frasi illeggibili di opere come “Figura arancio”, “Il poeta”, “Pittura” evocano il ricordo di parole uniche ed eterne, cantate in tempi lontani, assieme al dolore muto e silenzioso dell’incomunicabilità di oggi, un oggi stravolto dal magma di immagini e slogan pubblicitari che svuotano di contenuto il valore della parola. Una triade di elementi ricorre in tutte le opere di Marino Iotti - l’uomo, la poesia e la materia cromatica -, sviluppo di una precedente ricerca improntata verso la pratica informale della scrittura e dell’immagine. La figura antropomorfa dell’uomo rappresenta la solitudine umana, la sua condizione di eremita e di nomade (o di profugo, collegandosi idealmente alle figure emaciate di Alberto Giacometti, maestro a cui spesso s’ispira idealmente Iotti), il cui destino è “segnato” da ferite antiche e nuove, che dilaniano il corpo. Un destino alla deriva, rischiarato tuttavia dal “calore” della materia pittorica, dai riverberi della luce, dalla poesia del colore, dalla forza di parole mai dette e soltanto pensate.
di Marinella Paderni, 2002
La nostra epoca passerà sicuramente alla storia per tanti eventi e conquiste ma anche per un fenomeno mai prima registrato, atipico rispetto all’evoluzione degli opposti e degli estremi in tutte le sfere della nostra società. Individualismi e dualismo culturale (nazionale e sovrannazionale), scissioni e commistioni, antagonismi e conflitti, collaborazioni e guerre sono gli antipodi di una stessa cultura occidentale in bilico tra onnipotenza e supremazia da una parte, rispetto per l’uomo, per la sua vita e per il suo ambiente dall’altra. Una “cultura” che dovrebbe inglobare e non globalizzare, accogliere in un ecosistema dinamico e non stereotipato tanto le idiosincrasie quanto le polarità, comprendere tutte le espressioni culturali della nostra complessa società per dare parola alle mille voci dell’uomo - spesso differenti tra loro ma partorite dallo stesso anelito vitale.
Alla ricerca di un ordine olistico del mondo e nell’attuale faticosa concertazione tra il bene e il male, il bello e l’orrido, il degno e il corrotto, l’ordine e il caos - egualmente insiti nell’animo umano - l’arte di oggi, e tutta la cultura postmoderna, esprime questo rapporto dualistico. Accanto alle più sofisticate innovazioni tecnologiche e scientifiche - che in un futuro ci permetteranno di clonarci, di viaggiare o persino di abitare nello spazio, di modificare il clima della Terra e di morire ultracentenari - assistiamo a continue oscillazioni tra un’arte “virtuale” e super-tecnologica, “fredda” e cerebrale che trova nella videoarte, nella multimedialità e nell’installazione concettuale la sua massima espressione, e un’arte “calda”, più intima che si riappropria delle pulsioni profonde dell’uomo, degli archetipi e della simbologia ancestrale, della materia viva e pulsante della natura e del mondo. Quarant’anni fa lo studioso canadese Marshall McLuhan teorizzava come l’uomo postmoderno avrebbe vissuto da nomade in un villaggio globale, “viaggiando” simultaneamente da una condizione all’altra, da un sistema all’altro di uno stesso universo. Alla luce di questa nuova configurazione, Marino Iotti ha scelto di dare forma ed espressione alla parte “calda” dell’arte. Amante della pittura e delle emozioni che suscita, egli ha preso la materia vibrante del colore, i riverberi dei pigmenti minerali, il guizzo creativo del pennello, il movimento sinuoso e avvolgente della pittura per dare voce ai moti interiori dell’animo umano.
La sua ricerca scava nei meandri dell’uomo contemporaneo, nella sua natura fatta di estremi e di opposti, di confronti e di conflitti, nelle sue due anime. Attraverso la forza del segno e del fascino del colore, la sua pittura racconta le inquietudini che ciascuno di noi vive nel profondo davanti al mistero della vita e di fronte agli avvenimenti drastici di questo nuovo millennio.
Una delle sue opere più belle e incisive di quest’ultimo anno, la grande tela Dopo Genova, riassume in un vortice di segni, graffiature, cancellazioni inflitte ad una materia cromatica solare, il terremoto emozionale provato di fronte ai fatti genovesi del G8. Sopra i bellissimi ocra, rossi e bianchi l’artista dipinge la sagoma nera di un uomo colpito al cuore da un vortice - una spirale disegnata sopra il petto - simbolo di un episodio che cambierà la storia di ciascuno e sintesi di quei valori che convivono simbioticamente nell’animo dell’uomo contemporaneo. Pace e guerra, vita e morte, rinascita e distruzione, benessere e povertà, solidarietà e isolamento sono inscritti nelle opere di Iotti sottoforma di graffitismo primordiale e inconscio che riempie lo spazio dell’opera di scritture antiche e illeggibili (poesie scritte e poi cancellate dalla materia pittorica), di figure ancestrali (l’uomo rappresentato da primitive forme geometriche), di segni laceranti che sembrano ferite insanabili nel cuore dell’artista e di ogni uomo.
Le frasi illeggibili di opere come “Figura arancio”, “Il poeta”, “Pittura” evocano il ricordo di parole uniche ed eterne, cantate in tempi lontani, assieme al dolore muto e silenzioso dell’incomunicabilità di oggi, un oggi stravolto dal magma di immagini e slogan pubblicitari che svuotano di contenuto il valore della parola. Una triade di elementi ricorre in tutte le opere di Marino Iotti - l’uomo, la poesia e la materia cromatica -, sviluppo di una precedente ricerca improntata verso la pratica informale della scrittura e dell’immagine. La figura antropomorfa dell’uomo rappresenta la solitudine umana, la sua condizione di eremita e di nomade (o di profugo, collegandosi idealmente alle figure emaciate di Alberto Giacometti, maestro a cui spesso s’ispira idealmente Iotti), il cui destino è “segnato” da ferite antiche e nuove, che dilaniano il corpo. Un destino alla deriva, rischiarato tuttavia dal “calore” della materia pittorica, dai riverberi della luce, dalla poesia del colore, dalla forza di parole mai dette e soltanto pensate.