Testo critico
di Giuliana Galli, 1985
L’albero è il protagonista indiscusso della narrazione iconografica di Marino Iotti.
L’albero è simbolo universale di un’entità naturale incontaminata, pulsante di vita, come ben ha mostrato Frazer nel suo fondamentale “Ramo d’oro”, illustrando la funzione dell’“albero della vita”, inteso come periodica rigenerazione vegetale e dell’ ”albero cosmico” le cui radici si intrecciano nei cieli platonici. Non possiamo qui saccheggiare il repertorio iconografico del “De vegetalibus” e di Alberto Magno, nè scomodare Columella o gli eruditi botanici, quali Lineo o Ulisse Aldrovandi, chè non riusciremmo a districarci nel labirinto dei reperti di erte eterogenee, improbabili Wuhderkammern.
Anche gli alberi riprodotti da Marino Iotti sono delineati sommariamente, raffigurando più un’immagine simbolica che una rappresentazione fedele di una tipologia esistente in natura.
Affrancandosi dalla schiavitù di una riproduzione mimetica, l’albero è ridotto a un’equazione di rami, foglie, un tronco nodoso quanto si vuole, sagomato con l’accetta in rientranze e sporgenze, le cui difformità, accentuate da ispessimenti di una corteccia ruvida e irta di protuberanze scabre, si estendono ai rami, ridotti alla sintesi di monconi smozzicati, in cui s’innestano armoniose e tenere efflorescenze, serti di foglie, che si librano verso l’immenso, solcando un cielo di smalto o intaccando la caligine ovattata di un’entità padana sommersa dalla nebbia.
Col tempo, però, accentuano un loro aspetto disarticolato, fino a tradursi in entità meccanica, poichè i loro rami non sembrano più percorsi da alcuna linfa vitale e vengono a somigliare a ingranaggi di un meccanismo reso asfittico da un estremo automatismo. Essendo stata spezzata l’entità simbiotica tra uomo e natura, introducendo ritmi artificiali nella dimensione vitale, nel ciclo vegetativo che, nella sua periodicità, racchiudeva in un microcosmo in sè conchiusi gli elementi dell’ordine universale, anche la natura è stata depauperata dal saccheggio insensato delle risorse e dalla selvaggia speculazione edilzia che ha devastato un patrimonio naturale, decimando certe specie animali e alterando un equilibrio ecologico spesso in modo inarrestabile e irreversibile. L’attuale figurazione di Marino Iotti, nei suoi tratti volutamente disarmonici, rappresenta simbolicamente la nostra società, ormai invivibile, ridotta a una condizione di stress, ritmi alienanti e poco gratificanti sistemi di vita, cui è sottoposto quell’automa che è l’uomo, che, alla ricerca di paradisi cibernetici nelle sue espansioni extra-naturali, perdendo la propria identità, ha firmato la propria condanna. Avremmo, quindi, oltre ai cibi liofilizzati degli Astronauti, all’erba di plastica di una Disneyland per alienati, anche alberi di cemento, una dimensione “giapponese” di pomodori quadrati per un migliore imballagio, una foresta pietrificata, un mondo di plastica, deserto biodegradabile, simbolo della solitudine e incomunicabilità dell’uomo moderno: sarà un paradossale esistenzialismo, stravolto e snaturato nella sua essenza?
Dal punto di vista tecnico, Iotti si avvale di una tavolozza brillante, facendo stagliare profili aguzzi di alberi sgraziati, su cieli cobalto, accostando certi teneri rosa e verdi acidi, che si fondono mirabilmente con certi toni lividi che illanguidiscono sul fondo. Comunque predilige una gamma di tonalità fredde, appena percorse da un fremito di colore acceso: ed è subito gioco pirotecnico a sconvolgere certe anatomie alla Bacon, sia pure risolte su scala vegetale, a simboleggiare nello scatto timbrico l’impercettibile passaggio tra entità apparentemente dissezionate dai contorni nitidi delle figurazioni.
La graduale metamorfosi, la figurazione che si riduce a schema e a cifra, parte di un meccanismo onnivoro, si coglie nel cambiamento delle tonalità adottate, che diventano di consistenza biaccosa, bituminosa, fino a raffigurare nei toni metallici il prevalere della macchina sull’entità naturale. Ed è subito tecnicismo.
di Giuliana Galli, 1985
L’albero è il protagonista indiscusso della narrazione iconografica di Marino Iotti.
L’albero è simbolo universale di un’entità naturale incontaminata, pulsante di vita, come ben ha mostrato Frazer nel suo fondamentale “Ramo d’oro”, illustrando la funzione dell’“albero della vita”, inteso come periodica rigenerazione vegetale e dell’ ”albero cosmico” le cui radici si intrecciano nei cieli platonici. Non possiamo qui saccheggiare il repertorio iconografico del “De vegetalibus” e di Alberto Magno, nè scomodare Columella o gli eruditi botanici, quali Lineo o Ulisse Aldrovandi, chè non riusciremmo a districarci nel labirinto dei reperti di erte eterogenee, improbabili Wuhderkammern.
Anche gli alberi riprodotti da Marino Iotti sono delineati sommariamente, raffigurando più un’immagine simbolica che una rappresentazione fedele di una tipologia esistente in natura.
Affrancandosi dalla schiavitù di una riproduzione mimetica, l’albero è ridotto a un’equazione di rami, foglie, un tronco nodoso quanto si vuole, sagomato con l’accetta in rientranze e sporgenze, le cui difformità, accentuate da ispessimenti di una corteccia ruvida e irta di protuberanze scabre, si estendono ai rami, ridotti alla sintesi di monconi smozzicati, in cui s’innestano armoniose e tenere efflorescenze, serti di foglie, che si librano verso l’immenso, solcando un cielo di smalto o intaccando la caligine ovattata di un’entità padana sommersa dalla nebbia.
Col tempo, però, accentuano un loro aspetto disarticolato, fino a tradursi in entità meccanica, poichè i loro rami non sembrano più percorsi da alcuna linfa vitale e vengono a somigliare a ingranaggi di un meccanismo reso asfittico da un estremo automatismo. Essendo stata spezzata l’entità simbiotica tra uomo e natura, introducendo ritmi artificiali nella dimensione vitale, nel ciclo vegetativo che, nella sua periodicità, racchiudeva in un microcosmo in sè conchiusi gli elementi dell’ordine universale, anche la natura è stata depauperata dal saccheggio insensato delle risorse e dalla selvaggia speculazione edilzia che ha devastato un patrimonio naturale, decimando certe specie animali e alterando un equilibrio ecologico spesso in modo inarrestabile e irreversibile. L’attuale figurazione di Marino Iotti, nei suoi tratti volutamente disarmonici, rappresenta simbolicamente la nostra società, ormai invivibile, ridotta a una condizione di stress, ritmi alienanti e poco gratificanti sistemi di vita, cui è sottoposto quell’automa che è l’uomo, che, alla ricerca di paradisi cibernetici nelle sue espansioni extra-naturali, perdendo la propria identità, ha firmato la propria condanna. Avremmo, quindi, oltre ai cibi liofilizzati degli Astronauti, all’erba di plastica di una Disneyland per alienati, anche alberi di cemento, una dimensione “giapponese” di pomodori quadrati per un migliore imballagio, una foresta pietrificata, un mondo di plastica, deserto biodegradabile, simbolo della solitudine e incomunicabilità dell’uomo moderno: sarà un paradossale esistenzialismo, stravolto e snaturato nella sua essenza?
Dal punto di vista tecnico, Iotti si avvale di una tavolozza brillante, facendo stagliare profili aguzzi di alberi sgraziati, su cieli cobalto, accostando certi teneri rosa e verdi acidi, che si fondono mirabilmente con certi toni lividi che illanguidiscono sul fondo. Comunque predilige una gamma di tonalità fredde, appena percorse da un fremito di colore acceso: ed è subito gioco pirotecnico a sconvolgere certe anatomie alla Bacon, sia pure risolte su scala vegetale, a simboleggiare nello scatto timbrico l’impercettibile passaggio tra entità apparentemente dissezionate dai contorni nitidi delle figurazioni.
La graduale metamorfosi, la figurazione che si riduce a schema e a cifra, parte di un meccanismo onnivoro, si coglie nel cambiamento delle tonalità adottate, che diventano di consistenza biaccosa, bituminosa, fino a raffigurare nei toni metallici il prevalere della macchina sull’entità naturale. Ed è subito tecnicismo.